Ladyboy

era un bel momento, Annamaria tornava dall'università ogni giorno alla stessa ora e io l'aspettavo, l'acqua bolliva e quando sentivo il rumore della chiave nella serratura calavo la pasta, un attimo, mi giravo e le davo un bacio, era già tutto apparecchiato, certe volte nemmeno l'accendevamo la televisione, Annamaria si metteva a parlare delle sue cose dell'università, io invece mi svegliavo tardi, cucinavo, apparecchiavo la tavola, mangiavo, ero ingrassato dieci chili, non facevo un cazzo e mi andava alla grande, era un bel momento.
Poi è successa una cosa strana, anche perché non me ne sono accorto subito, e all'inizio mi dicevo che era anche giusto così, forse in una società diversa le cose sarebbero andate diversamente, forse il mondo era allo sfacelo perché le donne non avevano avuto mai tempo per fare carriera, però c'era questo grembiule da cuoco che mi aveva regalato, era uno scherzo, l'aveva comprato a cinque euro ai banchini del mercato, c'era disegnata una donna nuda con le tette di fuori, io però me lo mettevo sul serio anche perché non volevo sporcarmi di olio ogni volta, comunque poi le cose sono cambiate, quella sera stavo cucinando, imbottivo il polpettone, e Annamaria stava sul divano, c'era la Champions League e beveva birra e gridava al televisore, incoraggiava un certo Abidà, che c'aveva pure avuto un tumore, e io pensavo poverino, lo fanno giocare a questo, e poi a un certo punto, io stavo infornando il polpettone, Annamaria sbotta "e portami un'altra birra!", così senza girarsi, e mentre andavo verso il frigorifero, ho incrociato la mia immagine nello specchio del soggiorno e mi sono accorto che c'era qualcosa di strano, avevo le tette, due tette di fuori.

L'importanza di lavare i piatti

c'era questo fumetto in cui lui stava disteso sul letto e dalla finestra entravano tutte le grida dei condomini del palazzo, grida indistinte, bambini, americani, bestemmie, arabi, televisioni, pomeriggio cinque soprattutto, e poi aspirapolveri, stoviglie, e tutto si concretizzava in vignette con dentro asterischi e stelline, o qualcosa del genere, e il cielo plumbeo, no il cielo plumbeo adesso non c'è, c'è la canicola di luglio di maggio, e quando sali le scale arrivi e hai voglia di morire, e distenderti sul letto, ma lì sì che c'è il cielo plumbeo dell'angoscia, non sei per niente soddisfatto ma proprio di niente, e pensi che comunque l'insoddisfazione sia perché desideri qualcosa che non puoi avere o non puoi avere troppo facilmente, anche perché mi sembra strano che uno desideri qualcosa che già tiene tra le mani, e allora dovresti accontentarti, ma più tenti e meno t'accontenti, e magari ti crogioli nella malinconia, che è tipo miele, ti avvolge è calda, però poi è pure appiccicosa e non ti si leva di dosso, e allora te ne torni a casa e dici vabbè ora mi distendo sul letto, ma devi lavare i piatti, sono molti giorni che dovresti lavare quei piatti, e i piatti crescono con i giorni, sono come i debiti, e lì hai voglia di morire, ma alla fine pensi all'acqua, l'acqua almeno è fresca e allora lavi i piatti e non muori più.

Tra il dire e il mare

Un teorico della narrazione - che malgrado le apparenze non è una qualifica professionale di alcun tipo, ma una tipologia eccentrica di disoccupazione - ha detto, o meglio ha scritto, nel suo ultimo libro che si chiama, credo, suppongo "Teoria della narrazione", che prima c'era l'epica e ci piaceva tanto l'epica, poi la gente s'è stancata di leggere l'epica perché era troppo lunga ed è venuta la lirica e ci piaceva tanto la lirica, poi la lirica era troppo corta ed è venuto il romanzo, poi la gente s'è stancata proprio di leggere e sono venuti i panini del Mc Donald e i film. Comunque questo teorico ha detto che a noi, la gente, - lui è il teorico, - ci piace un sacco la narrazione, tutti i tipi di narrazione, perché ci piacciono proprio le storie, in quanto le storie sono il modo in cui immaginiamo la vita come una progressione verso qualcosa, e non come una successione sconclusionata di giorni senza senso, come la modalità di riproduzione casuale di un mp3 intergalattico - dove "m" sta per mondo, "p" per pazzo e "3" per le tre dimensioni. E ha anche detto che le trame delle storie sono il modo in cui vediamo compiere ai personaggi delle scelte che via via gli si propongono, e dentro quelle scelte ci siamo noi, con le nostre vite piene di scelte (?) che non sappiamo compiere. Ora - mentre mi trovo sulla tazza del water - vorrei rispondere a questo teorico della narrazione, dicendogli che io, nonostante legga molto - ho letto anche te, mio te(s)oricuccio - questa progressione nella vita non ce la vedo proprio per niente e più che a una trama di una narrazione la mia vita, e quella delle persone che conosco, assomiglia a un blog con bassissime interazioni, con dei post sconclusionati e frammentari, che non parlano di nessuna scelta, anzi, non parlano proprio, non li puoi neanche leggere, perché quando ti ci colleghi ti si apre una gigantesca finestra pop-up in cui ti si chiede di inserire email e password e di spuntare una casella in cui acconsenti non solo al mal trattamento della tua persona ma anche ad essere costantemente ricoperto di spam senza senso. E forse è per questo che il mio teoricucciolo diceva che abbiamo bisogno di immaginarle diversamente, queste vite, perciò Pino Scannamonaca per un po', non andrà più in città, ma in vacanza.

E poi a catechismo gliel'ho regalato

da bambino avevo fatto un disegnino perché mi ricordo che non piacevo alla ragazza che mi piaceva e non mi piaceva la ragazza a cui piacevo, che è un po' la trama di una milionata di film ambientati nei college americani dove c'è la bionda cretina che fa la cheerleader e va dietro al quarterback e la secchiona bruttina che è molto sensibile, solo che per tutto il film il protagonista va dietro alla bionda e scaca la secchiona che è segretamente innamorata di lui, fino a quando non arriva il ballo di fine anno e la secchiona si leva gli occhiali e si trasforma in una fica e lui finalmente capisce che la bionda è cretina e scopre che gli piace la secchiona che è molto sensibile e così trova la felicità, dopo una scazzottata col quarterback. Nella mia scuola però sto ballo di fine anno non l'hanno mai fatto e quella a cui piacevo ma che non mi piaceva non si è mai levata gli occhiali e io non ho mai trovato la felicità e per questo, credo, avevo fatto un disegnino in cui c'erano delle specie di ring da boxe, dove dentro c'era una ragazza che diceva ti amo ad un ragazzo che gli voltava le spalle perché era intento a dire ti amo a un'altra ragazza che a sua volta gli voltava le spalle per dire ti amo a un ragazzo che a sua volta gli voltava le spalle e così via fino a quando l'ultimo anello della catena era una ragazza che stava inginocchiata con le mani giunte a pregare dio, e dietro di lei c'ero io.

21 lettere

dico 21 lettere ma il numero cambia a seconda degli alfabeti, comunque resta sempre un numero abbastanza esiguo quello su cui fonda il mondo, e sembra strano dirlo ma si fonda tutto su delle lettere, non dico i letterati dico tutto, pure l'economia, tu pure che fai il manager ce la devi avere una laurea in economia e i professori all'università spiegavano a voce, sì ma spiegavano cose che avevano letto nei libri, e tu ci studiavi sui libri, va bene, ma la vita? sì lo sperma, le proteine, a parte che comunque una donna te la scopi parlando e quella è capacità dialettica, roba di retorica che hai imparato dai libri, o comportamenti che ti sono arrivati non so dai film, e i film c'hanno la sceneggiatura, a parte i film di lynch ma non si scopa con lynch o forse sì, ma comunque devi mangiare per scopare, altrimenti ti denuturisci e muori, e per mangiare devi lavorare e qualsiasi lavoro all'origine c'ha questo: 21 stupidissime lettere, su cui si basa tutto, poi ci sono gli alberi, ma vabbè.

Red garden

A Firenze, in via de' Benci, c'è un locale che quando ci entri pensi che forse non c'hanno tutti i torti quegli americani che ogni tanto si svegliano la mattina, si lavano i denti, prendono un mitra dall'armadio, vanno a scuola, iniziano a sparare all'impazzata, smarmellano gran parte degli organi dei loro compagni sulle pareti imbiancate di fresco, si infilano in bocca la canna fredda del mitragliatore e s'ammazzano.
Via de' Benci, a Firenze, sta vicino Santa Croce, che è quella piazza dove c'è la statua di Dante, mentre la tomba di Dante sta in un'altra piazza, però a Ravenna. Tutta quella zona, ma soprattutto via de' Benci, normalmente è molto frequentata da turisti americani teste di cazzo che come tutti i turisti non hanno niente da fare e si ubriacano la sera pagando otto euro un cocktail e poi sudano e vanno a ballare in questi locali che sembrano aperti solo per loro, infatti tu mica ci puoi entrare se sei un italiano e sei maschio e sei vestito come un cesso e non pagheresti mai dieci euro per un cocktail, cosa che invece farebbero loro e infatti ci entrano e fanno una fila lunghissima per pagare dieci euro un cocktail e poi vanno a ballare, gridano e sudano e l'economia della città gira. Quella sera ho conosciuto un tipo che si chiamava, non lo so come si chiamava, che non era di Firenze, era rumeno però diceva di essere di Firenze e infatti diceva "Io Firentze, io arte, rinassimento" e io gli dicevo che ero di Potenza e allora lui mi ha detto che pure lui era di Potenza, che prima aveva lavorato dieci anni a Potenza, e che anzi c'era proprio nato a Potenza, e quando gli ho chiesto ma "Potenza, Basilicata?" lui mi ha detto "sì sì Potenza, Calabria", e poi credo che ci siamo presentati e gli ho detto che mi chiamavo Pino e lui, pure lui ha detto che si chiamava Pino, e la sua faccia era proprio stupita per la coincidenza, però dopo l'ho chiamato Pino e lui non s'è girato, poi per un po' l'ho perso di vista perchè c'era un sacco di gente e noi stavamo su questa ringhiera a bere le morettoni dei pakistani e volevamo entrare in questo locale in via de' Benci, anzi non volevamo entrare perchè già sapevamo che c'avrebbero rimbalzati e allora io e altri sfigati italiani stavamo seduti su questa ringhiera a bere le morettoni dei pakistani e ci accontentavamo di vedere le fighe americane che uscivano dal locale e commentavamo ad alta voce e loro c'avevano tutte le minigonne e alcune le calze nere di quel tessuto particolare che non mi ricordo come si chiama ma che si vede tutto il culo tondo, o meglio tondo un po' quadrato, e a un certo punto lui è tornato "io Firentze" e credo fosse ubriaco ma non era ubriaco però ha iniziato ad infilare le mani da sotto le gonne di tutte le americane che passavano e gli palpava la figa, ma da davanti molto spudorato, gliela tastava a una a una e faceva la faccia da jap sharking e loro non è che facevano niente, qualcuna si divincolava, altre ridacchiavano e dicevano qualcosa in americano e allora lui è tornato verso di me e mi ha detto "io Firentze, io rinassimento".
Comunque proprio attaccato a questo locale c'è una specie di ristorante, c'è scritto Grill e qualcosa, che non dev'essere proprio buonissimo perchè non ci va mai nessuno, però è proprio attaccato, infatti se ci entri vicino al bagno c'è un corridoietto che arriva proprio a destra del bancone del locale dove ci vanno gli americani, e infatti io a furia di bere birra dovevo pisciare e ci sono entrato e da lì sono spuntato in questo locale di via de' Benci che si chiama Red Garter.
Praticamente il Red Garter funziona che ci sono due sale, una col bancone dove si fa la fila per bere e ci si struscia sul culo delle americane e l'altra dove ci stanno dei tavolini e un soppalco con altri tavolini e davanti un palchetto abbastanza alto dove c'è un signore che suona la chitarra e un computer dove passa il testo di una canzone e tu, turista americana donna, puoi salire sul palco e sceglierti una canzone e cantarla a squarciagola mentre il signore con la chitarra cerca invano di abbassare il volume del microfono mentre accompagna la base che viene dal computer con cui si fa il karaoke, che dev'essere una cosa che gli piace proprio agli americani che infatti gridano e si strappano i capelli come a top of the pops da sotto il palco, in un piccolo spazio senza tavolini dove in genere la gente balla e si struscia sul culo delle americane.
Il signore con la chitarra si chiama Carlo Conte, come Carlo Conti ma con la e, lo so perchè me l'ha detto e mi ha anche detto "come Carlo Conti ma con la e". Me l'ha detto perchè quando sono entrato sono stato un'ora a guardare questo spettacolo disumano o forse totalmente umano di queste ragazze che sputavano dentro il microfono, con tutta la voce che riuscivano a cacciare dal loro corpicino da skinny stickam caps, canzoni come It's my life o quella famosa di Lady Gaga o Pump it dei Black Eyed Peas e a un certo punto lui, Carlo Conte, s'è messo a fare una canzone della PFM quella che inizia con "quante gocce di rugiada intorno a me...", perchè ogni tanto Carlo Conte fermava le canzoni su richiesta e si metteva a suonare una canzone da solo con la base, e proprio mentre stava eseguendo il super assolo di chitarra della PFM, uno dei pochi groper italiani che erano riusciti ad entrare, - questi nomi inglesi che ogni tanto uso sono le categorie dei porno, che un po' come le categorie kantiane mi servono a pensare il mondo, il mondo come un grande film porno, lo diceva pure Freud, forse - insomma questo tipo sale sul palco mentre Carlo Conte stava dando il meglio di sè - non era malvagio a suonare - e gli grida una cosa con la sua faccia da encoxada tutta sudata e Carlo Conte gli dice di aspettare ma l'italiano insiste prende il microfono e grida "oh facci Franco Califano daiii" e il povero Conte imbastardito continua a suonare e ogni tanto mi guardava, forse perchè ero l'unico che lo stava a sentire e intanto il sole tra la nebbia filtrava già. Si vede che c'era del feeling, - che non è una sottocategoria del softcore, però in effetti potrebbe diventarla - perchè poi quando ha smesso di suonare, ha preso una birra e si è venuto a sedere vicino a me che stavo da solo sul soppalco e nel frattempo gli americani avevano assaltato il palchetto del karaoke come i pirati ma credo che nel computer fosse inserita l'opzione discoteca, tipo tastino rosso autodistruzione. Carlo Conte mi fa tutto un discorso, comunque scopro che lui mica fa solo questo di lavoro, lui in realtà coltiva la terra, sì, perchè abita in un paesino vicino Firenze, in una specie di cascina con la famgilia, cioè la moglie e due figlie della mia età, - lui si aggira sulla cinquantina - e il bello è che la famiglia non lo sa che lui la sera si arma di giubbotto di pelle, indossa la sua fender squier e si trasforma nel dio della movida di via de' Benci, non lo sa, anzi credo che abbiano un'immagine di lui tipo contadino molto quieto e razionale, anche perchè poi, parlandoci, lui è molto quieto e razionale. Comunque mi dice che sta cercando un altro lavoro adesso, perchè la famglia si sta insospettendo per sto fatto che torna alle 5 di mattina ogni volta, - lui le ha detto che fa il cameriere - però i soldi gli servono, perchè "Pino con l'agricoltura non si mangia, con la musica sì". E mi dice pure che l'animazione è l'unica cosa che funziona in Italia. E io ho pensato, in quella marmaglia di gente, che in fondo stavo dalla sua parte, e che anch'io mi dovevo coltivare delle cose vive, non morte, che non è la filosofia toscana del coltivare il proprio orticello, è un'altra cosa, e mi dovevo pure coltivare un'altra vita, tipo Dexter, in cui incanalare tutto quello che mi serviva per non uscire pazzo, anche se a furia di coltivare sarei diventato un coltivatore compulsivo, ma non m'importava, perchè l'importante è scegliersi da quale lato della barricata stare e io in quel momento l'avevo scelto.

L'agente della vita

vorrei un agente della vita. sai gli agenti letterari che tu gli mandi il libro e loro ti cercano un editore che poi questi conoscono tutti, tutte le case editrici, tutti gli editor del mondo, e tu devi solo scrivere un libro e mandarglielo, almeno credo che funzioni così, perché poi tu gli dai una percentuale o proprio dei soldi a secco. ecco vorrei un agente della vita, uno che ti trovi le cose, compri le marche da bollo e spedisca le raccomandate, uno che controlli gli annunci di lavoro, mandi i curriculum, promuova la tua immagine sul web, e tu devi solo vivere, svegliarti la mattina, lavarti i denti, andare a correre, cucinare, mangiare, che già che c'è st'agente potrebbe anche lavarti i piatti e chiamare tutte le persone che c'hai in rubrica, sincerarsi che stanno bene, anzi mandargli degli sms così pensano che sei tu, e tu devi solo curare la tua igiene personale, e mentale, leggere, guardare film, poi lui ti trova un lavoro, però ti trova un super lavoro, tipo fare il titolista del manifesto, o il montatore di blob, e tu lavori la sera, sì ma un'oretta così, mentre stai su facebook, anzi no, su facebook ci metti a lui, e lo fai stare sempre online a rispondere a tutti, così poi non s'arrabbiano che non rispondi. ecco mi servirebbe un agente del genere, che agisca al posto mio, e io devo solo andare a letto e dormire, cambiarmi le mutande, anzi pure quello gli faccio fare, - infilarsi le mutande ogni giorno, ogni giorno per tutta la vita, è da pazzi.

La sessualità di un IP

Tu la sofferenza non sai neanche che cos'è.
Hai mai provato a chattare con i client in coda della barra di upload del tuo emule? Io sì. Capito? Si chiamano tutti http://www.emule.com e allora ci clicchi col destro e fai mostra dettagli e i dettagli secondo emule sono hash utente, versione client, Kadu, IP. Hai mai provato a cercare di capire dalle cifre dell'IP se l'utente fosse maschio o femmina? Tu non sai neanche che cos'è la sofferenza. La sofferenza è scrivere "ciao" a tal 212.63.266.35, mentre state scaricando contemporaneamente, lei da te e tu da chissà chi il file "Socrate.Aristotele.e.la.Scuola.di.Atene.-di.M.Ferraris.avi" e nessuno dei due sa perchè cazzo lo state scaricando, visto che a nessuno dei due gliene fotte niente dei socratici e soprattutto di M.Ferraris. Vi chiederete: come faccio a saperlo? Sarà quel 212 all'inizio del tuo IP che dice di te molte cose, che non sei per niente socratica, no, no, a te piace la danza caraibica, e pure a me, e ti dirò di più: c'abbiamo un IP molto simile. Perchè non hanno inventato il servizio "manda un sms al 4242 con scritto il tuo IP e il suo IP e scopri le affinità che hai con i tuoi client in coda", non c'è neanche l'oroscopo degli IP, bah, ma io stasera, cara la mia 212.63.266.35, ho ricevuto un ID basso e un Kadu fairwalled, e lo sapevo che l'avrei ricevuto, ne ero sicuro, guarda io stasera nemmeno mi volevo collegare alla rete Kadu oggi. Oh, mi hai risposto! Quasi iniziavo a disperare: Nuovo messaggio da: 212.63.266.35: "Mezzanotte, quarantacinque minuti, zero sei secondi: IMPOSSIBILE CONNETTERSI AL CLIENT slesh CONNESSIONE PERSA".
Il battito pulsante del silicio: lo devo fare 'sto partito neoluddista a sfasciare i computer. E pure le radiosveglie e nel frattempo il mio calendario segna Ottobre 2007, sono proprio in ritardo. Cara la mia 212.63.266.35, perchè non leggi la chat del tuo emule? Cosa fai scarichi e te ne lavi le mani? Non siamo mica in un bagno vero, qua. Questi posti dimenticati da Dio, le piccole stanze delle chat cadute in disuso, i forum abbandonati dagli utenti, le domande di yahoo answer senza neanche una risposta, Dio dov'è in tutto questo? Dio non è mai entrato nella chat di emule. La poesia, la letteratura, non sono mai entrate nella chat di emule, e neppure tu, cara la mia 212.63.266.35. Sei andata a ballere i tuoi balli caraibici, ma ti raggiungerò, stai sicura, sarò il tuo cavaliere, ammesso che ci sia un cavaliere nelle danze caraibiche, anzi, ora quasi quasi mi scarico un corso di danze caraibiche.
Tu non sai neanche che cos'è la sofferenza, cara la mia 212.63.266.35.

Yes, I can

oggi mi stavo per tagliare il cazzo volontariamente. ma mi spiego.
stavo leggendo il Principe di Machiavelli, capendoci davvero poco, tamen se si considerrà bene tutto, ho alzato lo sguardo verso la finestra della mia cameretta e ho visto degli stormi giganteschi di rondini o checosasono che volavano nel cielo sopra i palazzi della stazione, erano miliardi, lì nel cielo a garrire, a inseguirsi, ad accalcarsi in masse informi e poi sciogliersi velocemente e di nuovo, tant'è che quando si addensavano diventavano un un'unica maschera nera che oscurava tutto il mio piccolo angolo di cielo visibile dalla mia finestra. da qualche parte avevo letto come il moto degli uccelli fosse determinato e non casuale e come stagliandosi nel cielo gli uccelli componessero delle figure ben precise, magari figure di uccelli molto più grandi delle singole componenti in modo da spaventare i predatori, ma non mi importava, perché quelle rondini se la stavano spassando lì nel cielo, si inseguivano, piroettavano, scendevano in picchiata, poi si rialzavano placide nel cielo, a beffeggiare la forza di gravità e noi poveri umani che non sapevamo alzarci d'un palmo. sembrava uno spettacolo messo in scena solo per me, che se avessi chiuso le imposte si sarebbero subito acquietate, ma poi le chiudevo e quando le riaprivo erano ancora lì ed erano ancora di più, arrivavano da ogni parte, in massa, e non si sapeva perché lo facessero, forse facevano primavera, ma in ogni caso era febbraio.
è stato proprio di fronte a tutta questa poesia che mi sono accorto che avevo una mano infilata nei pantaloni e che da circa un'ora mi stavo grattando i peli, i peli pubici, e ne avevo tantissimi, c'era da grattarne, credetemi, e anche loro, i peli, si arruffavano, si divincolavano, piroettavano, disegnavano una massa uniforme di colore nero che si stagliava sopra il cielo del mio pene. e anche il cielo del mio pene scompariva sotto di essi: avevo i peli del pene più lunghi del pene.
questo non era virilmente bello, non lo era affetto. non lo era manco per il pene. così ho lasciato perdere sia il Principe di Machiavelli, che di sicuro il principe ideale avrebbe dovuto avere come minimo il pene più lungo dei peli del pene, e ho lasciato anche le rondini perché avevo un problema ben più grande o ben più piccolo, ma sempre di uccelli, ma a parte le battute idio... dunque prendo una forbice, una forbice da potatore, da venti centimetri, ma avevo solo quella e mi dirigo in bagno. dopo aver assicurato la porta chiudendola a doppia mandata e con dei mobili per evitare simpatiche incursioni dei miei coinquilini, mi abbasso i pantaloni e controllo nello specchio la verità delle mie argomentazioni. Tutto corrispondeva al vero. Occorreva porvi rimedio. Lo diceva pure Machiavelli, spunta dove c'è da spuntare, diceva. E così spuntai, spuntai alla bell'e peggio, tanto che dalla massa uniforme di rondini pubiche, uscì qualcosa paragonabile più a un pulcino spennacchiato che a un'aquila, ma non era importante, perché l'obbiettivo era che il becco spiccasse almeno un po' di più del resto, ma mentre pensavo a tutte queste amenità estetiche mi diedi una simpatica sforbiciata sul pene, niente di che, intendiamoci, non uscì neanche sangue, ma il dolore fu lo stesso lancinante, fu solo allora che mi resi conto che cazzocosa stessi facendo: ero sulla tazza del cesso, con i pantaloni abbassati, con una forbice in mano a tagliarmi i peli del pene, e stavo quasi per tagliarmi il pene, non è come dire tagliarsi la frangetta: tagliarsi il pene significa che io, con le mie mani, potevo cambiare la mia vita, in peggio sì, ma potevo farlo, potevo decidere di cambiare la storia, la mia storia, potevo ad esempio buttarmi da una finestra, o sbattere la testa contro un muro fino ad impazzire, non so se capite, avevo il libero arbitrio di tagliarmi il pene, e di rovinarmi la vita, perché non penso ci sia una bella vita senza pene, e senza pene cosa avrei fatto? Certo potevo sempre dedicarmi alla beneficenza, o non so, impegnarmi ad essere un buon amico per tutti, o diventare uno di quelli che quando c'è la neve escono con la panda per fare i solchi sulla strada per facilitare il passaggio delle altre macchine, non so, ma in ogni caso io potevo predeterminare il corso della mia vita, lì con quelle forbici, sulla tazza del cesso, con i pantaloni abbassati, io potevo cambiare il corso della storia, della mia storia almeno, e non è vero che non succede mai niente, non succede mai niente se non lo fai accadere ho pensato, non siamo schiavi di una volontà predeterminata, siamo liberi, ho pensato, io posso farlo, posso, e allora l'ho fatto... zac!
un taglio secco.
no, scherzo non l'ho fatto, però potevo, e anche voi potete, è una sensazione molto strana, rendersi conto della possibilità, della possibilità di cambiare le cose, di cambiare la propria vita e il corso della storia. io non lo farò, ma fatelo voi, cambiatelo, ci sarà un sacco di beneficenza in più, grazie.