Racconto leggero in settemila battute, di cui solo un paio fanno ridere


Se vivi ogni giorno come fosse l'ultimo,
stai attento che prima o poi qualcuno t'accontenta.
Anonimo - Bagno delle Oblate

E insomma, dice, non conosci Minervino Murge, il paesino che nel 1945 dichiarò guerra all'Italia? Lei stava dall'altra parte del tavolo, col suo librone di filosofia della medicina, leggeva e sottolineava qualsiasi cosa, con righello e lapis, un'operazione sistematica e certosina, come lei, col suo caschetto perfetto e le tettine appuntite che sporgevano in rilievo dalla flanella leggera. Stava seduta indietro sulla sedia come la professoressa di "ciao Matteo" che forse bramava una manina innocente infoderarle il perizoma nero, che se poi era un perizoma e soprattutto se era nero mica lo sapevo, perchè mi stava seduta proprio di fronte, e il tavolo era tanto stretto che sentivo il suo respiro, e se muovevo un piede gli potevo sfiorare quei suoi piedini da gattina stagista, e infatti lo muovevo, simulavo indifferenza strusciavo contro le sue gambe, lei sospirava alzava gli occhi, io li riabbassavo e facevo finta di leggere, ma non stavo leggendo niente, anche il solo fatto che quando girava una pagina questa strusciava il mio libro mi destabilizzava completamente, sembrava un invito, un chiaro accenno di complicità, ma poi passavano altri minuti e non succedeva niente, poi di nuovo, carta contro carta, un fruscio sensuale, leggero come le sue ditina smaltate, aveva capito, era logico, il girare la pagina così consapevolmente contro la mia era un segnale, era un sì, inequivocabile, o forse no, pura coincidenza, però allora perchè. 

Mi alzai e mi diressi verso il bagno, mi avrebbe seguito, giusto qualche minuto per non destare sospetti e poi si sarebbe alzata, avrebbe attraversato la tenda, aperto la porta e senza dire una parola mi avrebbe sbottonato la patta e avrebbe trovato quello per cui sospirava, quello che i suoi occhi furbetti rincorrevano lungo le righe maneggiando il righello come fosse. Nell'enorme toilette della biblioteca nessuno, solo il condizionatore che rendeva quel posto un cunicolo industriale, con le luci al neon mezze scoperte. Il muro di fronte era piastrellato con motivi floreali che si intrecciavano e si interrompevano dove l'intonaco emergeva sulle mattonelle rotte, sopra in alto c'era scritto: "nonno 60 anni, cerco cazzo giovane da ingoiare, max 20 anni, posso ospitare, amo il sapone, cell 3332650125". L'idea di masturbarmi non era, poi sentii i suoi passi, mi affacciai fuori, il corridoietto d'ingresso stava aspettando il suo arrivo in silenzio insieme a me, entrò, puntai gli occhi sulla porta mettendoci un piglio perverso che però finì nello sguardo non tanto furbetto di un mezzo barbone come me che che cazzo, chiusi la porta ed ero troppo arrapato comunque, ma già lo sapevo che avevo equivocato, non è che, presi il cellulare e scrissi 3332650125, purtroppo già c'era un'occorrenza "nonno" e "nonno2" sulla sim, così disse la rubrica, o disse qualcosa del genere, riferendosi al parentame, credo, spero, per memorizzarlo mi dovetti accontentare di un "NonnoDiPanopoli", e tornai al mio posto anche perchè. 

 Aveva una cartina con del tabacco e si guardava intorno frugando con l'altra mano in un astuccio zebrato di peluche, poi alzò gli occhi e mi trovò già bello e preparato che era mezz'ora, o al massimo più di due minuti, che aspettavo di dirlo: ti serve un filtrino? E allora ti accompagno e va bene. Sediamoci qui, ma no che c'è il sole e allora. Dove in Puglia? E qui raccontò della storia del suo paesino, poche anime, ma grande spirito, che infatti erano un puntino però un bel giorno presero e si staccarono dall'Italia. Era finita la guerra e i suoi paesani prima di altri s'accorsero che ad un usurpatore se ne sostituisce sempre un altro, così piazzarono un paio di mitragliatrici rimaste dalla resistenza, trincerarono le strade e si barricarono dentro il paese, che se non fosse intervenuto un intero reggimento dell'esercito adesso Minervino poteva essere l'avamposto sovietico in occidente, come Cuba, ma in provincia di Barletta, e io lì non è che l'ascoltavo più, stavo ricostruendo la mia personalità, ora ero un bravo ragazzo, e non avevo mai fatto strani pensieri su di lei, oh no, puro, emendato come le mie manine appena lavate che non riuscivo a chiudere la sigaretta e stava uscendo un torcione enorme vista l'unica funzionalità rimasta alle mie mani, ossia l'inutile opponibilità del pollice, e pensavo a grandi metafore tipo siamo fatti della stessa sostanza di cui è fatto il grassume della nostra epidermide - lipidi? Disse e si alzò per spegnere la sua. 

Se non lo specchio dell'anima il culo è quella cosa che. Brutti culi, va detto, ce ne sono pochi, tu prova ad immaginare il culo più brutto che ti venga in mente, ecco, in Perù è già una prelibatezza da passerella, gostosa la señora culona. Il suo era piatto e largo, non proprio esagerato ma comunque eccessivo vista l'esilità dei fianchi, quasi un peccato, tradito dai jeans inevitabilmente aderenti e virgolettato dalle due tasche spillate ai lati, come una confessione a cielo aperto, qualcosa su cui lei non ci poteva fare niente, nonostante il cardiganino vintage, nonostante l'impegno per la crisi del medio oriente, quel culo c'era, era lì con lei e non poteva fare a meno di portarselo dietro ogni giorno, con una timidezza che diveniva esibizione, per cui fissarlo non era violazione della privacy, ma servizio pubblico e tutto questo mi rendeva un po' meno bravo ragazzo, e un po' jap sharker. 

 I frequentatori di biblioteche ci sono, ma non si vedono, non hanno un sindacato, e neanche un sito web, they are anonymous, un esercito silenzioso in lotta contro il mondo, contro il rumore delle strade, contro le canzoncine arabe del piano di sotto, contro le grida da playstation dei coinquilini, contro le chat di Facebook, contro gli aggiornamenti dell'ANSA, contro i siti di porn sharing. Si ritrovano lì negli scantinati antiatomici dove finalmente è vietata qualsiasi forma di comunicazione, comunicare è reato, o quanto meno fa male, come per gli stiliti greci. La loro costante presenza è una quotidiana firma su una silenziosa petizione per l'insonorizzazione come diritto inalienabile dell'uomo. Naturalmente un piatto così prelibato di persone che si estraniano dal marasma occidentale è per forza preda di quelli che in sociopolitichese vengono identificati come cacacazzo. Sono per lo più professori attempati che arrivano verso le dieci di sera, si siedono davanti a qualche studentessa e iniziano a sproloquiare vaghi consigli, quasi sempre dopo il decimo sorrisino di compassione si alzano sconfitti, lasciano una pisciatina e qualche messaggino omosessuale. Cosa davvero gli frulli nella testa, a st'accademia di depravati è reso esplicito da. 

La mia lei, addirittura, al silenzio tombale aggiungeva anche due tappini per le orecchie color pelle, che sembrava un apparecchio acustico, prima di infilarseli si guardava un attimo intorno, constatava cosa si stava per perdere, non se ne rammaricava e si chiudeva ad ogni vibrazione sonora esterna, le rimaneva soltanto qualche rumore mascellare amplificato in sorde cavità laringali, e rumori peristaltici di cui farà finta di non accorgersi, ma il senso del tatto ancora le funziona, e al mio puntellarle ripetutamente un gomito alza gli occhi, sfila i tappi e asseconda l'offerta di un altro. 

Non c'è più il sole, sediamo sul gradone sotto il portico. Mi parla di questo scrittore che le ha detto che la morte è sottovalutata. D'accordo. Cioè io torno la sera a casa stanca mi prendo un bel libro e mi svago. Già. Da quando è morto il televisore, la telvisione ha tutto un altro sapore. Questo lo dice a bassa voce però. Del maniaco in me non resta più traccia, se non nei pantaloni, la realtà noiosissima e asessuata dei rapporti umani, la molestia è il rifugio dei sognatori, di quelli che ancora riescono ad immaginarlo un fottutissimo mondo diverso. Le parole sono tornate lucide e intelligenti da razza evoluta, la nostra rivoluzione senza nome, senza amore, nelle pieghe di un libro di filosofia della medicina di un'interfacoltà forse soltanto immaginata. Mentre lei parla prendo il cellulare, e scorro fino alla lettera N, NonnodiPanopoli è ancora lì, certo ho superato i vent'anni, ma mi metterei tranquillamente in una categoria barely illegal, sul sapone invece se ne potrebbe discutere. Ma sì lo chiamo, appoggio il cellulare all'orecchio, sento squillare dall'altra parte, non so ancora cosa dirgli, mi aspetto questa voce da molestatore. Lei mi guarda, smette di parlare e si inizia a frugare nella borsa, il suo cellulare sta vibrando, quando risponde, sento solo il suo sguardo, da gattina stagista poggiata sui soffici cuscinetti delle sue chiappone peruviane.

Wonder woman

-Ma hai mangiato asparagi?
disse lei, col fallo di lui ancora mezzo in bocca
-Sì, perchè?
chiese lui incuriosito
-Per fortuna non sono superman
-?
-Sa di criptonite

Sull'esistenza di Dio

Il problema dell'autorialità è sentirsi pienamente responsabili di quello che si crea, ma noi non siamo mai totalmente responsabili delle nostre creazioni, non esiste la creazione ex novo, totalmente autonoma e individuale, la creazione, perdonatemi questa cosa, è molto simile alla defecazione, noi ingeriamo attraverso l'esperienza un mucchio di cose che poi in altra forma vengono tradotte in ciò che produciamo, ma ricercare poi gli ingredienti primi che hanno dato vita alla digestione è impossibile, è tutto una ricerca di causa-effetto, e alla lontana si arriva alla massima causa che parrebbe essere Dio, ma se Dio fosse quindi l'autore totalmente responsabile, che ha creato ex novo, avrebbe firmato la sua opera, perciò Dio non è l'Autore, ammenocché non si ammetta come firma di Dio il firmamento, in questo caso avremmo dimostrato l'analfabetismo di Dio, perché avrebbe firmato con delle X, delle X molto luminose, ma sempre X, tra l'altro non con una, ma infinite, perciò Dio, potremmo dire a questo punto, è un autore collettivo.

Ano

C'era un mio amico che si faceva chiamare Ano, o meglio così si firmava sul giornalino della scuola e tutti gli amici avevano preso a chiamarlo a quel modo e alla fine ci si era abituato, mi ricordo una volta persino sua madre mi chiese se per caso avevo visto Ano e io risposi di sì, che era andato a suonare da un amico, per dire, era diventata una cosa normale: lui era Ano.
Poi un giorno s'incazzò, così, dal nulla, ex abrupto, di brupto proprio, "non mi dovete più chiamare Ano! Io mi chiamo Pasquale, cazzo!". E lì io cercai di spiegargli che in fondo oramai non era più una cosa brutta, non è che quando lo chiamavamo in quel modo avevamo in mente veramente un "ano", il buco plissettato del culo ricoperto di peli da cui esce la merda, non dai peli, dico dall'ano, ma credo lo sappiate cos'è un ano, anzi, gli dissi, tutto il contrario, quando sentivamo qualcuno pronunciare "ano", chessò a Super Quark, non pensavamo all'apparato escretore ma a Pasquale e anche per quello ci abbiamo capito poco in generale dell'anatomia umana. Ma lui si impuntò, ci alzò pure le mani e quindi Ano ridiventò Pasquale o in altre parole Pasquale non fu più Ano.
Ma in effetti questa storia non c'entra niente. Io, lo sapete, voglio risolvere problemi concreti (però è troppo tardi per cambiare il titolo). Vorrei infatti parlare di tutte quelle "categorie" di persone, che appunto sono diventate "categorie" grazie all'utilizzo di parole (e quindi di pensieri) che riuscissero ad identificarle come categorie, ma mi spiego. Porterò degli esempi: i gay, i poliziotti, i diversamente abili, i politici e le prostitute. Tutte queste categorie possono essere accomunate dal fatto che dei loro nomi esistono altrettanti appellativi utilizzati per denigrarli e cioè: froci, sbirri, handicappati, ladri e puttane. Di questi esempi se ne possono fare a milioni, anche se ad esempio non esiste il dispregiativo di "ferroviere" e davvero non mi spiego il perché. Comunque in America, dove attualmente hanno una teoria su tutto, hanno pure una teoria su questa cosa qui e si chiama Teoria Queer. Queer significa "frocio". In pratica (in pratica una teoria?) parla della discriminazione dei gay da parte di un certo maschilismo che li denigra anche verbalmente e sostiene che il movimento di rivendicazione dei diritti degli omosessuali dovrebbe utilizzare la parola "frocio" e non "gay" per autodefinirsi, solo così il termine perderà la sua connotazione negativa, perchè perderà l'accezione denigratoria: io stesso mi chiamo così, io sono quella parola, non sono quello che è correlato a quella parola (cioè il background della tradizione omofoba), "frocio" diventa una parola normale, istituzionale, e attraverso questa pratica, che potremmo definire politica, diventerebbe impossibile offendere un gay con la parola "frocio" perché quando la pronunceremmo sarebbe come dire semplicemente "gay" e non "frocio". Un po' come quando volevano offendere i formalisti russi e li chiamavano "formalisti" anche se loro erano dei "linguisti", ma poi loro stessi hanno iniziato a chiamarsi così e ora nessuno studioso di tecniche di costruzione del linguaggio si offenderebbe se per strada fosse apostrofato con "formalista". O gli scapigliati, ce ne sono infiniti di esempi. Ora giustamente mi si potrebbe obbiettare che non ci vuole niente a coniare una parola offensiva diversa, ad esempio per i gay si potrebbe dire "succhiacazzi", cioè a coniare, l'hanno già coniata, e ogni volta a rifare lo stesso procedimento politico ("I am proud to be succhiacazzi!") ci vorrebbero anni e anni e non si finirebbe più, ma questa infatti è solo la teoria americana, non la mia.
Io credo che tutte le categorie di persone di cui parlavo nel mio esempio di prima potrebbero attuare la teoria queer per evitare quelle cose spiacevoli di dover chiamare con nomi sempre più astratti delle categorie facilmente individuabili di persone, si pensi ad esempio al bidello che è diventato collaboratore scolastico e poi personale non docente e poi… insomma non la si finirà più, il mio consiglio è quello di interiorizzare la parola negativa con cui si viene identificati, perché l'identità non è data dalle parole ma dalle azioni, noi non siamo qualcuno perché così ci chiamano, siamo qualcuno perché agiamo in un certo modo, voglio dire Ano, tu sei Pasquale e non ano fin quando ti comporterai da Pasquale, quando diventerai plissettato e ricoperto di peli e caccerai la merda, non dai peli, ma da te stesso che è buco, solo allora sarai ano e non più Pasquale. Lo sapevo che non lo dovevo cambiare il titolo.
Io, ad esempio (?), conoscevo una ragazza che s'arrabbiava se la chiamavi "puttana", e in effetti molte ragazze s'arrabbiano se le chiami "puttane", dicono che non è carino, che la puttana si fa pagare per fare quello che fa, loro no, ma ora non voglio discutere di ciò, voglio dire a queste ragazze che è molto semplice privare dell'aspetto offensivo questo appellativo, basta presentarsi proprio a quel modo, "piacere, sono Giovanna, una puttana di 17 anni". Ora già me lo vedo questo dibattito, la mamma di Ano (Pasquale) che mi fa: "Ma quand'è che te la trovi una puttana (ragazza) seria?" "Eh signò, è che non ci stanno più le puttane di una volta" "Ma possibile che non conosci una puttana degna di questo nome?" Etc. Con questo non voglio dire che tutte le ragazze sono puttane, ma solo quelle che conosco io, direbbe il poeta. Ecco la mia teoria, s'è capita, no?

Happy hardcore

non vedevo un cazzo perché mi teneva la testa a un centimetro dal gradino e sentivo solo l'odore sporco dei gradoni e lui che minacciava che me l'avrebbe sfracellata quella testa di cazzo che mi ritrovavo, così su quei gradini, e io non facevo niente anche perché non potevo, m'immaginavo solo questo tappeto rosso di sangue che si sarebbe srotolato dalla mia testa sui gradini, come a Cannes, mi scuoteva, e mi gridava in testa, col suo alitone caldo stagno, s'era incazzato sul serio, ma mai a pensarlo io, e alla fine ho ceduto, c'aveva una mano enorme tipo Gianni Morandi, ho ceduto, specie di incapace pusillanime che non sono altro, ho ceduto e gliel'ho detto: "va bene, va bene, mi piace il tuo libro di poesie".

Ladyboy

era un bel momento, Annamaria tornava dall'università ogni giorno alla stessa ora e io l'aspettavo, l'acqua bolliva e quando sentivo il rumore della chiave nella serratura calavo la pasta, un attimo, mi giravo e le davo un bacio, era già tutto apparecchiato, certe volte nemmeno l'accendevamo la televisione, Annamaria si metteva a parlare delle sue cose dell'università, io invece mi svegliavo tardi, cucinavo, apparecchiavo la tavola, mangiavo, ero ingrassato dieci chili, non facevo un cazzo e mi andava alla grande, era un bel momento.
Poi è successa una cosa strana, anche perché non me ne sono accorto subito, e all'inizio mi dicevo che era anche giusto così, forse in una società diversa le cose sarebbero andate diversamente, forse il mondo era allo sfacelo perché le donne non avevano avuto mai tempo per fare carriera, però c'era questo grembiule da cuoco che mi aveva regalato, era uno scherzo, l'aveva comprato a cinque euro ai banchini del mercato, c'era disegnata una donna nuda con le tette di fuori, io però me lo mettevo sul serio anche perché non volevo sporcarmi di olio ogni volta, comunque poi le cose sono cambiate, quella sera stavo cucinando, imbottivo il polpettone, e Annamaria stava sul divano, c'era la Champions League e beveva birra e gridava al televisore, incoraggiava un certo Abidà, che c'aveva pure avuto un tumore, e io pensavo poverino, lo fanno giocare a questo, e poi a un certo punto, io stavo infornando il polpettone, Annamaria sbotta "e portami un'altra birra!", così senza girarsi, e mentre andavo verso il frigorifero, ho incrociato la mia immagine nello specchio del soggiorno e mi sono accorto che c'era qualcosa di strano, avevo le tette, due tette di fuori.

L'importanza di lavare i piatti

c'era questo fumetto in cui lui stava disteso sul letto e dalla finestra entravano tutte le grida dei condomini del palazzo, grida indistinte, bambini, americani, bestemmie, arabi, televisioni, pomeriggio cinque soprattutto, e poi aspirapolveri, stoviglie, e tutto si concretizzava in vignette con dentro asterischi e stelline, o qualcosa del genere, e il cielo plumbeo, no il cielo plumbeo adesso non c'è, c'è la canicola di luglio di maggio, e quando sali le scale arrivi e hai voglia di morire, e distenderti sul letto, ma lì sì che c'è il cielo plumbeo dell'angoscia, non sei per niente soddisfatto ma proprio di niente, e pensi che comunque l'insoddisfazione sia perché desideri qualcosa che non puoi avere o non puoi avere troppo facilmente, anche perché mi sembra strano che uno desideri qualcosa che già tiene tra le mani, e allora dovresti accontentarti, ma più tenti e meno t'accontenti, e magari ti crogioli nella malinconia, che è tipo miele, ti avvolge è calda, però poi è pure appiccicosa e non ti si leva di dosso, e allora te ne torni a casa e dici vabbè ora mi distendo sul letto, ma devi lavare i piatti, sono molti giorni che dovresti lavare quei piatti, e i piatti crescono con i giorni, sono come i debiti, e lì hai voglia di morire, ma alla fine pensi all'acqua, l'acqua almeno è fresca e allora lavi i piatti e non muori più.

Tra il dire e il mare

Un teorico della narrazione - che malgrado le apparenze non è una qualifica professionale di alcun tipo, ma una tipologia eccentrica di disoccupazione - ha detto, o meglio ha scritto, nel suo ultimo libro che si chiama, credo, suppongo "Teoria della narrazione", che prima c'era l'epica e ci piaceva tanto l'epica, poi la gente s'è stancata di leggere l'epica perché era troppo lunga ed è venuta la lirica e ci piaceva tanto la lirica, poi la lirica era troppo corta ed è venuto il romanzo, poi la gente s'è stancata proprio di leggere e sono venuti i panini del Mc Donald e i film. Comunque questo teorico ha detto che a noi, la gente, - lui è il teorico, - ci piace un sacco la narrazione, tutti i tipi di narrazione, perché ci piacciono proprio le storie, in quanto le storie sono il modo in cui immaginiamo la vita come una progressione verso qualcosa, e non come una successione sconclusionata di giorni senza senso, come la modalità di riproduzione casuale di un mp3 intergalattico - dove "m" sta per mondo, "p" per pazzo e "3" per le tre dimensioni. E ha anche detto che le trame delle storie sono il modo in cui vediamo compiere ai personaggi delle scelte che via via gli si propongono, e dentro quelle scelte ci siamo noi, con le nostre vite piene di scelte (?) che non sappiamo compiere. Ora - mentre mi trovo sulla tazza del water - vorrei rispondere a questo teorico della narrazione, dicendogli che io, nonostante legga molto - ho letto anche te, mio te(s)oricuccio - questa progressione nella vita non ce la vedo proprio per niente e più che a una trama di una narrazione la mia vita, e quella delle persone che conosco, assomiglia a un blog con bassissime interazioni, con dei post sconclusionati e frammentari, che non parlano di nessuna scelta, anzi, non parlano proprio, non li puoi neanche leggere, perché quando ti ci colleghi ti si apre una gigantesca finestra pop-up in cui ti si chiede di inserire email e password e di spuntare una casella in cui acconsenti non solo al mal trattamento della tua persona ma anche ad essere costantemente ricoperto di spam senza senso. E forse è per questo che il mio teoricucciolo diceva che abbiamo bisogno di immaginarle diversamente, queste vite, perciò Pino Scannamonaca per un po', non andrà più in città, ma in vacanza.

E poi a catechismo gliel'ho regalato

da bambino avevo fatto un disegnino perché mi ricordo che non piacevo alla ragazza che mi piaceva e non mi piaceva la ragazza a cui piacevo, che è un po' la trama di una milionata di film ambientati nei college americani dove c'è la bionda cretina che fa la cheerleader e va dietro al quarterback e la secchiona bruttina che è molto sensibile, solo che per tutto il film il protagonista va dietro alla bionda e scaca la secchiona che è segretamente innamorata di lui, fino a quando non arriva il ballo di fine anno e la secchiona si leva gli occhiali e si trasforma in una fica e lui finalmente capisce che la bionda è cretina e scopre che gli piace la secchiona che è molto sensibile e così trova la felicità, dopo una scazzottata col quarterback. Nella mia scuola però sto ballo di fine anno non l'hanno mai fatto e quella a cui piacevo ma che non mi piaceva non si è mai levata gli occhiali e io non ho mai trovato la felicità e per questo, credo, avevo fatto un disegnino in cui c'erano delle specie di ring da boxe, dove dentro c'era una ragazza che diceva ti amo ad un ragazzo che gli voltava le spalle perché era intento a dire ti amo a un'altra ragazza che a sua volta gli voltava le spalle per dire ti amo a un ragazzo che a sua volta gli voltava le spalle e così via fino a quando l'ultimo anello della catena era una ragazza che stava inginocchiata con le mani giunte a pregare dio, e dietro di lei c'ero io.

21 lettere

dico 21 lettere ma il numero cambia a seconda degli alfabeti, comunque resta sempre un numero abbastanza esiguo quello su cui fonda il mondo, e sembra strano dirlo ma si fonda tutto su delle lettere, non dico i letterati dico tutto, pure l'economia, tu pure che fai il manager ce la devi avere una laurea in economia e i professori all'università spiegavano a voce, sì ma spiegavano cose che avevano letto nei libri, e tu ci studiavi sui libri, va bene, ma la vita? sì lo sperma, le proteine, a parte che comunque una donna te la scopi parlando e quella è capacità dialettica, roba di retorica che hai imparato dai libri, o comportamenti che ti sono arrivati non so dai film, e i film c'hanno la sceneggiatura, a parte i film di lynch ma non si scopa con lynch o forse sì, ma comunque devi mangiare per scopare, altrimenti ti denuturisci e muori, e per mangiare devi lavorare e qualsiasi lavoro all'origine c'ha questo: 21 stupidissime lettere, su cui si basa tutto, poi ci sono gli alberi, ma vabbè.